Hotel Iris by Yoko Ogawa

Hotel Iris by Yoko Ogawa

autore:Yoko Ogawa [Ogawa, Yoko]
Format: epub, mobi
ISBN: Softbook-000037
editore: SoftBook
pubblicato: 2009-03-31T08:05:31+00:00


La testa del traduttore continuò a girare anche una volta che fummo scesi dall'aeroplanino.

«Ti senti male?» chiesi.

«No, tutto bene.»

Si ravviò i capelli scomposti e riprendemmo a passeggiare per il luna park mano nella mano.

Col calar del sole i visitatori aumentavano. I bambini, con in mano palloncini o pupazzi, mandavano gridolini striduli d'eccitazione. C'erano saltimbanchi che spezzavano le catene avvolte attorno al loro torace o che sputavano fuoco. Un bimbetto al vederli si mise a piangere dallo spavento, mentre due fidanzati, incuranti della gente, si baciavano abbracciati. A ogni buffo di vento, pop-corn e mezzi biglietti danzavano sul terreno. Da qualche punto si levavano fuochi d'artificio, un cane liberatosi del padrone correva in giro, si accendevano i flash delle macchine fotografiche.

La mano del traduttore era tenera. Avvolgeva il mio palmo fin quasi a inghiottirlo. Con me, quella mano si faceva carico di compiti d'ogni genere. Mi carezzava i capelli, mi versava il tè, mi spogliava, mi legava. Ogni volta trasformandosi in una creatura differente.

Quella mano che ora mi avvolgeva così dolce era la stessa che aveva ucciso sua moglie? Alle volte ci pensavo. Ma non avevo paura. Non sapevo se l'avesse strangolata, trafitta con le forbici o avvelenata, ma potevo figurarmi la grazia infinita con cui le sue dita si muovevano in quel momento. Riuscivo a immaginare perfino la linea delle articolazioni, il disegno delle vene scure.

Appoggiati al recinto d'una giostra mangiammo un gelato. Il suo sguardo si soffermò sulla spirale di vaniglia e cioccolato.

«Se non lo mangi in fretta si squaglia.»

«Ha una bella forma.»

«È solo un gelato. Niente di speciale.»

«Il fatto è che non ne mangio spesso.»

«Dagli un morso! Così, guarda.»

Mi ci buttai a bocca spalancata, senza pensiero di sporcarmi la faccia. Lui lo teneva nella sinistra con delicatezza, in modo da non rompere il cono, e sporgendo il capo dava qualche leccata impacciata solo alla sommità. La crema si scioglieva e gli gocciolava sui pantaloni, che lui subito ripuliva con il fazzoletto.

Eppure doveva essere ben più facile mangiare un gelato che spogliare e legare me… pensavo aiutandolo a pulire i pantaloni.

«Quando ci venivo con papà prendevo sempre il gelato. Mi era consentito un solo giro sulla giostra che volevo e una sola cosa da mangiare. Avevamo questo accordo. Al momento di uscire, mia madre immancabilmente me lo ricordava: Una sola, capito? E non barare! diceva.»

«Come mai?»

«Per i soldi. Solo per quello. Ma papà di nascosto mi concedeva sempre una cosa in più. Era il divertimento più grande girare per il luna park a scegliere quella cosa in più, fosse una mela candita, una puntata al tiro a segno o un giro nella casa degli spettri. Per me era come se un genio dai poteri magici avesse prestato orecchio al mio desiderio. Papà mi accompagnava paziente su e giù per il parco. Per un tempo interminabile, finché non decidevo.»

Alle nostre spalle passavano e ripassavano i cavalli di legno della giostra. Il Dumbo volante continuava a volteggiare nel cielo. Il sole era ormai tramontato e il cielo si tingeva di blu, ma lo scintillio delle luci era troppo forte perché si potessero vedere le stelle.



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